lunedì 13 settembre 2010

Una destra di paradossi

Di Daniele Bellasio
Il Sole 24 Ore
12 settembre 2010

Destra? Quale destra? Semmai destre, ma ormai nemmeno più quelle. Ripercorrendo, a colloquio con gli storici, il fiume dell'evoluzione politica della destra da Camillo Benso conte di Cavour a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si scopre che, a 150 anni dalla fondazione, la parte che ha fatto l'Italia non esiste, né come partito liberale di massa né come destra conservatrice, né come formazione unitaria né come coalizione di tradizioni diverse. Tutto inedito.

Perché in una prospettiva storica la destra italiana è vista o come «un laboratorio di paradossi» (Franco Cardini) o come «un ammasso di anomalie, come del resto la sinistra» (Ernesto Galli della Loggia), fronti sempre azzannati dalle istanze populiste, profittevoli dal punto di vista elettorale ma pericolose dal punto di vista politico, processi sempre interrotti da fratture nella loro ricerca di soluzioni interne: il fascismo, la guerra fredda, tangentopoli, il berlusconismo.

«La destra italiana è un laboratorio di paradossi – spiega Cardini – perché nel corso dell'Ottocento sono successi alcuni terremoti che hanno prodotto un'inversione dei valori, per paura del quarto stato e della questione sociale. Si arrivò a una sovrapposizione di progressismo politico e valori di destra». Per esempio, il concetto di nazione «era nato a sinistra come contrapposizione all'altare, ma nel corso dei moti rivoluzionari, tra il 1830 e il 1848, subisce una profonda mutazione. Diventa conservatore e si sposa via via nei secoli con il liberalismo o il liberal-liberismo, dunque la destra s'impadronisce di valori di sinistra».

Alla fine, però, destra uguale nazione e sinistra uguale giustizia sociale, «ma questi due valori si fondono perfettamente nel primo Mussolini, quello che piaceva a Lenin, il quale disse ai comunisti: vi siete lasciati sfuggire l'unico che poteva fare la rivoluzione socialista in Italia. Di qui il permanere a destra di connotati socialisti». Come a Salò, come nel Movimento sociale. «Poi il Msi si avvicina man mano alla destra storica, quella convenzionale, tanto che il suo ultimo segretario, Fini, dichiaratamente uomo di destra, dice che l'unione di FI e An sarà il partito liberale di massa. Altro paradosso».

Oggi esistono gruppi che ancora si battono fuori dalla politica in cenacoli intellettuali per una destra pura, magari con venature autoritarie e/o rivoluzionarie, oppure in politica esistono élites favorevoli a una destra liberale, che ha però più seguito sui giornali che nelle piazze o nelle cabine elettorali («Fini fa la nuova destra? No», risponde Gian Enrico Rusconi, «c'è forse l'élite, dietro nulla»). Perché? Perché la destra che fece l'Italia, secondo Galli della Loggia, avendo fatto lo stato si pensò come tale: «Non come una parte, ma come il tutto».

Così non si trasformò in partito, così per tutto il Novecento abbiamo i moderati, non i conservatori. «Il paradosso ulteriore è che un partito liberale nasce nel '22, a ridosso della marcia di Roma, quando ormai di liberale c'era poco da sperare». Considerandosi lo stato, la destra non fece nascere partiti e i liberali non si separarono in liberali conservatori e liberali progressisti, ecco l'anomalia a destra come a sinistra. Anche la Dc, visto che non poteva esserci il ricambio, era il partito dello stato, dunque trasformandosi in regime s'inquinò al suo interno e perpetuò l'anomalia. «E siamo arrivati alla fine della guerra fredda con un vuoto di culture politiche».

Poi l'occasione del '94, in un primo momento colta da Berlusconi, si è trasformata nell'illusione del partito liberale di massa, «speranza delusa, sotto gli occhi di tutti», dice Galli della Loggia: «L'Italia è tutta un'anomalia. Non esiste nemmeno una sinistra moderna. Gli italiani sono costretti a scegliere tra due anomalie. Finora solo il ruolo dei presidenti della Repubblica, tutti uomini della prima Repubblica, ha evitato paralisi o deragliamenti. Ma anche questa è un'anomalia».

Lo storico Pietro Ignazi dà delle anomalie italiane, e della destra in particolare, due spiegazioni: la mancanza di un adeguato sviluppo economico, salvo in alcune zone del nord-ovest, da dove partì l'unità d'Italia, e la carenza di un'etica borghese, leggi Machiavelli, hanno fatto sì «che la pancia degli italiani sia sempre andata in direzioni non liberali».

Queste due mancanze hanno prodotto «il grande buco della politica italiana, l'assenza di un partito liberal-conservatore» e il proliferare a destra, come a sinistra, di spinte antisistema: il socialismo rivoluzionario, la destra fascista (e per Ignazi il Fascismo non fu né una parentesi né una rivoluzione «ma una rivelazione, un'emersione» di quel che l'Italia era) e infine i due grandi partiti, la Dc e il Pci, contrapposti: «la Dc aveva una qualche funzione maieutica, come disse un suo dirigente: noi li tenevamo a bada i nostri…». L'anomalia diventa ancora più evidente dopo il '94 «perché il berlusconismo – dice Ignazi – nonostante le aspettative iniziali si è incamminato su vie più populiste, per non parlare della Lega».

In effetti, «l'evoluzione storica della destra italiana è finita con Berlusconi – dice Rusconi – perché nel frullatore del berlusconismo sono finiti tutti gli elementi della destra, con l'idea magari di creare qualcosa più che la destra, in quanto popolare, ma poi la maionese è impazzita e ora non resta più nulla». Ma anche per Rusconi l'anomalia non è di parte: «Negli ultimi anni abbiamo scoperto che quello che sembrava un nostro avvicinamento alle altre democrazie europee è stato solo un inganno. Così ora tornano fuori le divisioni italiane incattivite e deideologizzate. Il paradosso è che c'è più cattiveria oggi di quando c'erano le ideologie. Per questo una domanda sull'evoluzione della destra, e su destra e sinistra, fa sorridere.

Per fortuna la società va avanti. I nostri ragazzi vivono. Altrove almeno c'è quella parola che mi vergogno a nominare: il centro. È la fine dei partiti ottocenteschi. Da noi non c'è la destra, non c'è la sinistra, non c'è il centro, non c'è niente, manca la capacità di agire nel corpaccione postideologico, manca una classe politica nel senso rivoluzionario della parola».

Interrogato sull'evoluzione storica della destra italiana, via email Umberto Eco ha infine risposto così: «Sono in giro ancora per alcuni giorni, mi spiace (la destra si evolve?)».

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