giovedì 9 settembre 2010

Fini, Pannella e l’Italia senza liberali

Federico Orlando
Europa
9 settembre 2010
«Goffo tentativo di portare sul piano costituzionale una crisi eminentemente politica», scriveva ieri sul Corriere della Sera il quirinalista Marzio Breda, riguardo alla richiesta-non richiesta dei due compagni di merende padane a Napolitano, di «spostare Fini», come fosse lo stalliere di Palazzo Chigi. Poi il tanghero «dei dieci milioni di padani pronti a venire a Roma» gorgogliava d’aver bisogno, «io e Berlusconi», di consultare l’agenda, per sapere quando sarebbero liberi di salire al Colle. Neanche il sospetto che potrebbe: 1) non essere libero all’istante l’ascensore di Napolitano, 2) che a parlare di crisi e di istituzioni con Napolitano, il presidente del consiglio deve recarsi non in compagnia di un ministro-scudiero-padrone, ma affiancato dai capigruppo della maggioranza: non è una forma, ma una conferma che la nostra è una democrazia parlamentare, dove non esiste alcun premierato assoluto, ma solo un governo votato o bocciato dal parlamento.
Il delirio opportunistico in cui vivono Berlusconi e Bossi, di operare invece in una repubblica con elezione popolare diretta del premier, li porta a sbattere come mosche impazzite in un bicchiere rovesciato.
In questa democrazia, che già i due compagni di merenda tentarono di rovesciare con la riforma della Costituzione bocciata dal referendum popolare nel 2006, appena quattro anni fa, mentre il presidente del consiglio può essere rimosso dal venir meno della maggioranza o da sentenze giudiziarie, le tre istituzioni di garanzia (presidenze della repubblica, della camera e del senato) sono inamovibili. Lo ha spiegato Fini agli «analfabeti costituzionali» in una quasi perfetta intervista a Enrico Mentana per il Tg di La7, che a sua volta – volente o no – galoppa alla testa di una rivolta popolare non grillina contro la tv di Minzolini, epigono esangue di Mario Appelius e di Virginio Gayda. A conferma che finora in Italia – come scrive Ichino sulla Stampa – «non ci sono abbastanza liberali», né per fare il partito liberale di massa dell’illiberale Berlusconi, né per fare una sinistra liberale di massa, perché «dalla fusione di due chiese illiberali come il Pci e la Dc, non può nascere una non chiesa liberale».
Non resta che Marco Pannella, a ricordare sostanze e regole del gioco liberale: come ha fatto lo stesso Marco dai microfoni di Radio Radicale, invitando Napolitano a mandare un messaggio al parlamento secondo Costituzione. E se il parlamento non lo discute? Ne uscirebbe comunque rafforzato il presidente, l’unico che la suprema legge fa arbitro della crisi e della sua soluzione.

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