venerdì 30 luglio 2010

Niente più breccia a Porta Pia

Federico Orlando
da Europa
30 luglio 2010

«Porta Pia? Non possiamo celebrare in comune ciò che non abbiamo in comune».
È la dura risposta di Lucio Villari all’articolo di Orazio La Rocca sulla Repubblica, che annunciava l’avvenuta intesa tra Segreteria di Stato e Campidoglio per una celebrazione clerico-moderata del 20 Settembre 1870, addirittura presenti Napolitano, Bertone e Alemanno a Porta Pia. Ricorrono i 140 anni delle cannonate di La Marmora (la “Breccia”), l’unione di Roma all’Italia. Lucio Villari, ordinario di storia contemporanea a Roma Tre, tra i primi frequentatori insieme a Rosario Romeo dell’Istituto per gli studi storici fondato da Benedetto Croce a Napoli, è da mesi tra le maggiori presenze del mercato editoriale, con il suo Bella e perduta – L’Italia del Risorgimento, che l’editore Laterza presenta così, ispirandosi forse anche al ritratto della Meditazione, di Francesco Hayez, che illumina la copertina: «Un’Italia dolente, notturna, divisa, risvegliata alla libertà. Le armi, le parole di un popolo che scopre se stesso dopo secoli di servitù. Giovani che hanno combattuto per l’unità e l’indipendenza della nazione. Questo è stato il Risorgimento. E questo resta l’orizzonte storico insormontabile della nostra identità nazionale e del nostro Stato democratico».
«È così – dice Villari –, anche se le grandi forze politiche di maggioranza e d’opposizione sono totalmente sorde alla questione. Ne tacciono per indifferenza culturale e anche per non creare interferenze coi loro giochini del presente».
Il professore sta partendo con la famiglia per Reggio Calabria, a godere del mare azzurro ancora senza Ponte. «Ma prima mi fermerò a Bagnara Calabra, per vedere se continuano le devastazioni della tomba di Vincenzo Morello, il celebre Rastignac, deputato fascista che nel 1930 osò scrivere un libro “Contro il Concordato” (Bompiani), che gli tolse la pace da vivo e da morto».
Consente tuttavia questo scambio di opinioni, quasi sullo strapuntino. Siamo due superstiti di un’altra Italia, meno ricca e più pensante, la liberale e la gramsciana, che non amano le cricche e le caste. Scopriamo conoscenze comuni, l’Istituto Storico, il grande Carlo Arturo Jemolo, suo testimone di nozze, mio maestro di diritto ecclesiastico allo Studium Urbis, oggi Sapienza, la tesi sulle Leggi Siccardi: che nel 1851 abolirono fori e manomorte ecclesiastiche e aprirono nel piccolo eroico Piemonte il “decennio dei miracoli” che si concluse il 17 marzo 1861 a Torino con la proclamazione del Regno d’Italia. Quasi dieci anni prima di Roma capitale.
«Dunque, niente celebrazioni in comune a Porta Pia, il prossimo 20 settembre, almeno per noi laici, se saranno celebrazioni storicamente e politicamente manipolate.
Tutti ci riconciliamo – dice Villari – tra ex nemici. Io mi riconcilio coi tedeschi, non con la loro ideologia della guerra. Lei si è riconciliato coi comunisti, non certo con lo stalinismo. Ben venga il cardinale Bertone a Porta Pia, ospite fra gli ospiti, e come tale, non come legato pontificio, assista coi rappresentanti dello stato italiano alle celebrazioni. Ma non ne detti la linea; e soprattutto gli altri non la subiscano».
Conciliazione tra rivoluzione liberale e cattolicesimo illuminato fu tentata nel Risorgimento, Manzoni, Rosmini, D’Azeglio, Balbo, e anche dopo – mi permetto di ricordare a Villari, parlandogli della mia ultima malinconica intervista a Jemolo – ma non ebbe sostegni dalla Chiesa: nel Risorgimento trovò la sola via del liberalismo “moderato” (così lo chiamava Gramsci, ma Spadolini usava altri termini più giornalisticamente efficaci, come Monarchia giacobina); ebbe uno sprazzo di vitalità con Giolitti, il patto Gentiloni, che consentiva all’astensionismo cattolico di votare per candidati liberali “moderati”. Ma il tentativo di conciliazione silenziosa fra Stato e Chiesa fatto per quindici anni da Giolitti fu fermato lì: la Chiesa attese l’uomo della Provvidenza per una conciliazione più benestante.
«Naturalmente – osserva lo storico – i termini, “moderato”, “giacobino”, “silenziosa”, hanno valore relativo alla cultura dell’autore e agli avvenimenti. Il moderatismo di Cavour non gli impedì di morire scomunicato ma irremovibile nel volere l’unità d’Italia, il giacobinismo della Monarchia non le impedì di rappresentare le forze reali, anche moderate, del paese. Come spiega Gramsci, e ho ricordato nel mio “Bella e perduta”, il partito moderato fu la forza vincente perché “rappresentò le effettive forze soggettive del Risorgimento” e perché “la sua soggettività era di una qualità superiore e più decisiva”. Nulla da aggiungere a questa pungente sintesi gramsciana, ma solo spiegarne il senso, e cioè che dietro il partito liberale di Cavour c’erano un regno, una dinastia secolare, istituzioni e magistrature efficienti, un esercito fedele e bene armato, un’economia già aperta all’industrializzazione. Tutto questo calamitò in Piemonte le speranze dei liberali d’Italia: a cominciare dal nostro Francesco De Sanctis, che nelle lezioni del 1872- 73 all’università di Napoli sul pensiero cattolico-liberale finì col rilevarne limiti che sarebbero stati definitivi quarant’anni dopo: quando bastò qualche sua apertura al modernismo perché la Curia tornasse a fulminarlo ».
E perché si aprisse la strada alla conciliazione con l’Italia fascista, al Concordato, dopo aver rifiutato per decenni le “guarantigie” che il separatismo liberale offriva alla Chiesa nell’ambito del Libero Stato. «Eh – conclude scuotendo il capo il professor Villari – non solo Concordato. Tutti dimentichiamo che esso incorpora un Trattato che è la vera base giuridica di tutti i privilegi rivendicati dalla Chiesa e subìti da Mussolini, il cui solo scopo era di avere la benedizione al suo regime, quale che ne fosse il costo per lo Stato italiano. Un costo che valutiamo anche oggi, non solo in termini finanziari, ma di bioetica, di leggi scolastiche, di ricostruzione del potere temporale, e perfino ormai di nuova storiografia: che dovrebb’essere ufficializzata il XX settembre a Porta Pia. E magari l’anno prossimo a Torino, per i 150 anni dell’Unità. Li vivremo nel segno del “dono della Divina Provvidenza”? Ma a chi conviene mettere a tali prove la tolleranza degli italiani, che finirà quando sarà passata la sbornia della corruttela e torneranno a farsi spazio le idee?».

1 commento:

  1. [...] Per approfondire consulta articolo originale: Niente più breccia a Porta Pia | Associazione Libertà e Responsabilità [...]

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