venerdì 18 giugno 2010

Dominio Ds sul Pd Gli ex popolari facciano fronte

martedì 15 giugno 2010
Intervista a Franco Marini di Maria Teresa Meli

Negli ultimi tempi Franco Marini ha scelto la linea del silenzio. Ma adesso l`ex presidente del Senato ha deciso di parlare di quel che accade nel Pd, del disagio degli ex popolari, del rischio che comporta una «gestione quasi monocolore» del partito da parte degli ex Ds e di molto altro ancora.
Presidente Marini, il disagio degli ex popolari può sconfinare in una scissione, come qualcuno sussurra?
«Io non vedo questo rischio. La nostra scelta dalle Regionali del`95 fu fatta con consapevolezza e occhi aperti. In Europa era crollata l`ideologia comunista, i comunisti italiani si collocarono nel filone delle grandi socialdemocrazie europee. Finalmente si crearono le condizioni per scelte di tipo europeo, riformisti con i riformisti, conservatori con i conservatori. Dove potevamo andare noi, formati dalla dottrina sociale della Chiesa? Con chi univa come dato fondamentale della politica la difesa della libertà e la giustizia sociale, cioè i riformisti. E poi sul piano più strettamente politico dove dovremmo approdare noi, oggi? Ad una navicella che, sebbene guidata da un nocchiero esperto e capace come Casini, da anni non riesce a prendere il largo? Non mi pare una prospettiva esaltante».
Ma gli ex popolari comunque questo disagio lo mostrano.
«Un problema c`è, ed è anche serio. Non si tratta però di una rivendicazione dei cattolici per avere una zona franca dentro il Pd. Il problema è la necessità che il Pd rispetti la missione che si è dato, cioè di essere un partito che supera e ripensa la tradizione della sinistra italiana, un partito veramente nuovo e riformista al cento per cento. E per questo occorre fare perno su alcuni cardini: centralità della persona, economia sociale di mercato, tutela della libertà di impresa, universalità dei diritti, centralità dei corpi intermedi. Questi cardini hanno ispirato l`azione politica di governo dei cattolici e delle altre culture riformiste ad essi alleate, e hanno garantito all`Italia sviluppo nella libertà. E a questo proposito azzardo una provocazione: è proprio assurdo pensare a un De Gasperi tra i padri dell`idea del Partito democratico? Per me no. Come si comportò De Gasperi dopo il trionfo del `48? Stravinse le elezioni, ma non volle che la Dc governasse da sola perché, come ricorda Andreotti in una famosa intervista, "sentiva la complessità dell`Italia, sentiva che l`Italia era un paese estremamente composito nel quale vi era una forte componente cattolica ma nel quale vi erano anche profonde radici liberali e socialiste"».
Un suggerimento agli ex ds, il suo, senatore Marini, ma che cosa vi impedisce di lavorare per fare veramente un nuovo partito e non un partito che prosegue la tradizione del fu Pci?
«Innanzitutto vanno cancellate due difficoltà. Gli ex Ds devono staccarsi con più decisione da parole d`ordine superate e non più condivise dalla maggioranza del popolo italiano e capire che un partito erede della sinistra non basta. E poi ci vuole il recupero di una forte incidenza culturale dell`area ex popolare, e non solo, anche di quella liberaldemocratica. Non vorrei fraintendimenti, non sto parlando di una corrente. Penso alla forza di quanto ci disse Scoppola a un convegno di Chianciano dei popolari nell`ottobre del 2006, a pochi mesi dallo scioglimento della Margherita».
Che cosa vi disse il professor Scoppola?
«Ci disse: "Proprio l`ipotesi dello scioglimento di una soggettività partitica in un nuovo e più ampio soggetto esige un radicamento maggiore nel proprio terreno, nella propria cultura, nel proprio ambiente, nella propria storia". Insomma, anche gli ex ppi devono portare nel Pd il meglio di quello che hanno fatto. Io sono convinto che la maggioranza degli ex ds lo capisca ma ci sono alcuni dirigenti che fanno fatica. Quelli che dicono, per esempio, che la maggioranza decide sui temi eticamente rilevanti: politici da età della pietra».
Tornando agli ex popolari...
«Noi ci siamo nel partito: Enrico Letta, Dario Franceschini, Rosy Bindi e Beppe Fioroni occupano posti importanti nel Pd. Il punto vero è che non c`è consapevolezza e concordanza tra queste nostre presenze. E invece io mi appello a loro perché diano vita ad un`azione culturale comune, al di là delle diverse collocazioni interne».
Il Pd rimanda all`esterno l`immagine di un partito lacerato, diviso da guerre intestine.
«Avverto questa cosa, ma credo che il Pd un passo avanti lo abbia fatto. Bersani non farà i fuochi d`artificio, perché, come si dice in gergo ciclistico, è un passista, ma è un leader a cui tutti riconoscono serietà, capacità di impegno, conoscenza dei problemi. E allora vogliamo fare un`innovazione? Diamo un grande segno di unità attorno a Bersani. E dico anche di dire basta a questa tiritera su chi fa il candidato premier. Io non ho dubbi: è Bersani, il segretario del partito più forte».
Presidente Marini, lei in un`assemblea del Pd, a nome degli ex popolari aveva chiesto le chiavi di casa del partito, ce le avete ora quelle chiavi?
«Quello era un problema serio che non è stato ancora risolto, perché è innegabile che nella gestione del partito c`è quasi un monocolore. Gli ex ppi come i liberaldemocratici non hanno presenze visibili nelle strutture operative del partito. E questo è un errore».
Di qui il suo appello di prima agli ex popolari che occupano ruoli chiave nel Partito democratico?
«Naturalmente. Io sono certo che la riproposizione chiara ed unitaria del nostro ruolo culturale e politico porterà, di conseguenza la soluzione di questo problema. Se ci fossero difficoltà, per un aiuto potrebbero richiamarmi per 48 ore dalla riserva. Mi raccomando, scriva 48 ore, niente di più. Voglio evitare il rischio che i giovani mi accompagnino all`uscio con l`aiuto dei piedi, come per i vecchi pare invocare Prodi».

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