Cara Europa, il risultato dei liberali inglesi, nonostante i sondaggi favorevoli, non è stato travolgente, ma si è confermato nella media ormai tradizionale del 20-25 per cento. Molti liberali, sarà stata la Grecia, saranno stati i piccoli e arcaici collegi uninominali, sarà stato l’antieuropeismo, o tutto questo insieme, hanno preferito votare per i conservatori o, forse meno numerosi, per i laburisti. Comunque, il risultato mi sembra dia qualche ragione a Berlusconi che dice: se non si vuole il governo delle sinistre (in Inghilterra i laburisti, appunto), bisogna scegliere a destra (in Italia, il Pdl). Che ne dite? ANNA DE MICHELI, MILANO
Cara signora, in Italia, né la sinistra è "laburista", né la destra berlusconiana è tory, né il centro (che io preferisco) è liberal. Ciò premesso, e poiché lei avrà trovato nelle pagine precedenti di Europa tutto quel che le occorre per informarsi, io mi limiterò a ripeterle qualcosa della storia inglese, da cui discendono i comportamenti non solo politici ed elettorali ma soprattutto civili di quel paese, che per noi resteranno un'aspirazione.
La Gran Bretagna è stato il primo paese al mondo a fondare, più di tre secoli fa, la civiltà liberale.
Cioè a far fare all’umanità occidentale, con un piccola guerra civile, la grande svolta della storia dopo oltre un millennio di assolutismi regi, papali, feudali e corporativi. I tre partiti britannici, Liberali, Conservatori e Laburisti, discendono (direttamente i liberali, per adesione i conservatori, per esser nati da una costola del Liberal i laburisti) dalla comune cultura whig (liberale) della Glorious Revolution, la "Rivoluzione gloriosa" (cioè grande, splendida) del 1688-89, che segnò la nascita della costituzione politica e della civiltà liberali. Sul piano politico, affermava il passaggio della centralità dalla corona al parlamento, il primato della legge sul potentato, il trasferimento della tassazione dai redditi alle rendite, la limitazione del potere pubblico e il corrispettivo ampliamento dei diritti individuali. Sul piano civile, segnò lo sviluppo tumultuoso della ricerca scientifica, la progressiva accumulazione di capitali agricoli per la futura industria, la diffusione della scuola e dell’università, l’adeguamento delle religioni alla libertà di coscienza, la formazione del carattere individuale, familiare e nazionale (che consentì agli inglesi di liquidare Napoleone, Guglielmo II e Hitler). Si realizzava così, prima con la nascita del Liberal party, poi con la conversione dei tory da conservatori del privilegio a conservatori del nuovo sistema, infine col tentativo liberal-laburista di risolvere il problema interno del liberalismo, cioè il rapporto libertà-uguaglianza, la civiltà nuova: avviata da Locke nel Seicento, proseguita da Hume, Bentam, Gibbon, Smith, Young e arrivata, nel pieno della seconda guerra mondiale, al Piano Beveridge e al welfare state della liberaldemocrazia.
Il liberalismo, insomma, da tre secoli è la cultura degli inglesi, cambiano i partiti che la interpretano alternandosi al governo, ma la cultura non cambia la sua ispirazione di fondo. In Italia, il liberalismo, importato per pochi con le traduzioni di Locke a opera di Genovesi e Galiani, non è mai diventato cultura generale del paese, dominato invece dal localismo delle piccole patrie, dal papismo, dal cinismo materialista («Franza o Spagna...»), dal dominio straniero. Fu realizzato come costituzionalismo liberale (ch’era la fase iniziale della rivoluzione wigh) nel Piemonte a metà Ottocento, e come ircocervo liberismo-protezionismo nello stato unitario, ma il liberalismo politico (quello della fase radicale, da cui nacque il Liberal party) non è mai diventato, neanche con Cavour e Giolitti, senso comune della nazione, "partito generale" di tutti i partiti. Che da noi sono nati e soprattutto rimasti antiliberali: per limitatezza dei liberali italiani, s’intende, e per dogmatismi altrui, clericalismo, socialmassimalismo, democrazia cristiana, comunismo, nazionalismo, fascismo. Tutti rappresentano un mondo estraneo alla rivoluzione whig e alle sue evoluzioni liberal, tory e labour. Perciò cerchiamo per viottoli la strada maestra, che all’inizio del Risorgimento avevamo intravisto ma non imboccato.
Federico Orlando
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