Discorso di Mario Spezia
Presidente Provinciale
Associazione Partigiani Cristiani
Cari cittadini di Monticelli,
e caro amico Emilio Pecorari, siamo qui ancora una volta, “affinchè il passare del tempo non attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai quali, quasi esclusivamente, fu affidato l’immane compito di provare a tutti gli italiani ed al mondo intero, che il nostro popolo sa ancora amare la Libertà sino a dare la sua vita per conquistarla e difenderla” (Enrico Mattei: 1946).
E’ questa un’esigenza antica che noi intendiamo rinnovare sistematicamente perché l’oblio di come fu raggiunta la Liberazione del 25 Aprile, oltre a rivestire un innaturale ed insopportabile silenzio sui sacrifici sopportati dal mondo Partigiano, potrebbe ancora oggi rappresentare un alto rischio per le istituzioni democratiche della nostra Italia. Potrebbe, nel contempo rendere vanificante il senso di quel formidabile vincente impegno militare dispiegato, sul suolo italiano, dagli eserciti del mondo libero a costo di immani sacrifici di fatica e di vite umane. A Loro la nostra perenne riconoscenza.
Dunque il 25 Aprile 1945 la vittoria, la liberazione dalle forze nazifasciste, l’inizio di un percorso che avrebbe portato alla Costituzione Repubblicana; poi, dal ’48, l’avvio di libere consultazioni elettorali.
Cari cittadini,
sarebbe veramente educativo, conveniente e consolante che la popolazione tutta, potesse trascorrere questa giornata nel condiviso ricordo di quell’epocale fatto che realizzò il sogno di generazioni di italiani: la conquista della Libertà.
Non solo una Nazione “libera” nel contesto europeo e mondiale, ma un popolo “libero” all’interno del suo Paese, ove darsi autonomamente la Legge Fondamentale sulla quale poggiare la garanzia dei suoi diritti e le regole per un’ alta civile convivenza.
Risponderebbe veramente alla migliore aspirazione del nostro animo, potere oggi ripercorrere mentalmente, con unità di giudizio ed intenti, i luoghi, gli avvenimenti, le popolazioni, la gente, gli eroi che hanno con il loro sacrificio permesso il raggiungimento del grande risultato che oggi celebriamo e che sentiamo come parte indissolubile della nostra memoria, dei nostri affetti, delle nostre speranze e del nostro futuro.
E così riandare con il pensiero ai nostri militari che a Cefalonia si immolarono per contrastare le forze tedesche; a quei militari che reintegrati nel ricostituito Esercito Italiano combatterono con pari dignità, insieme agli alleati lungo gran parte dell’Italia; a quei 600mila nostri connazionali che finiti in Germania, risposero “no” all’offerta di unirsi alla Repubblica Sociale Italiana, pur sapendo quale sarebbe stato il loro tragico destino; alle innumerevoli stragi dei civili perpretate dai nazifascisti in tanti Comuni italiani; allo sterminio degli ebrei e di quello dei nostri politici nei campi di sterminio germanici.
Ma sappiamo che così non è; che questa Festa sta sempre più diventando, invece che la Festa di tutto il Paese, la Festa di una parte; la ricorrenza più importante della nostra Patria, quella che racchiude il vero senso del nostro Stato che con fatica 65 anni orsono conquistava la libertà e la democrazia, sta diventando una ricorrenza, per molti, senza significato; da celebrare con una serie di manifestazioni più imposte dalla rutine che sentitamente partecipate.
E allora è arrivato il momento di affrontare con chiarezza e decisione questo tema.
E’ veramente inutile fare finta di non voler prestare attenzione ai tanti messaggi di segno opposto che una consistente parte politica dello schieramento parlamentare continua ad inviare al Paese.
Messaggi che sulla spinta di una sempre più pressante iniziativa politica tendono a cambiare radicalmente la Costituzione spostando, di fatto, il senso più vero dell’ordinamento Repubblicano parlamentare verso un Presidenzialismo puro non rispettoso dei necessari equilibri e contrappesi istituzionali; e tendono ad arrivare a questo facendo credere che la nostra Costituzione è stata falsata, nella sua costruzione, dalle preponderanti forze della sinistra che ne avrebbero irrimediabilmente compromesso l’efficacia democratica; il tutto quale risultato di una Lotta resistenziale non frutto della autodeterminazione di un popolo ma strumento nelle mani di un minoritario gruppo comunista al soldo di potenze ed obiettivi stranieri.
Da qui tutta la teoria del revisionismo storico che, pur essendo stato sempre presente fin dal dopoguerra, negli ultimi anni ha trovato nuovi proseliti ed una più ampia eco nei media ed in parti politiche di grande massa.
Al punto che Angelo Del Boca, illustre giornalista e storico nonché prestigioso presidente per tanti anni dell’Istituto Storico e della Resistenza di Piacenza, si è sentito in dovere di pubblicare nel 2009 un volume dal titolo: “La Storia Negata “ nel quale ha voluto raccogliere le tesi di dieci studiosi di storia che hanno ripercorso i temi del revisionismo a partire dall’unità d’Italia.
Tra questi, Giovanni De Luna docente di Storia contemporanea all’università di Torino, nell’introdurre il tema “Revisionismo e Resistenza” fa due osservazioni di notevole rilevanza:
la prima osservazione:“negli ultimi vent’anni sono state ridiscusse molte pagine della storia del novecento e un particolare accanimento critico ha colpito l’antifascismo e la Resistenza; con la scomparsa della vecchia Repubblica dei partiti, i temi del dibattito storiografico sul Novecento sono stati modellati sulle esigenze della politica e viceversa, in un uso pubblico della storia mai così massicciamente ingombrante come ora”;
la seconda osservazione: responsabili della progressiva demolizione delle vulgate tradizionali sono, per De Luna, la televisione, lo strumento più adatto per costruire tesi storiografiche deboli, congiunturali, talvolta effimere, e un gruppo di giornalisti, fra i quali primeggia Giampaolo Pansa, disponibili a una sorta di processo permanente alla Resistenza e ai suoi valori.
Ma è soprattutto Renzo De Felice, con la sua monumentale biografia di Mussolini e, ancor più, con le due operette minori, Intervista sul Fascismo e Rosso e Nero, a creare un autentico manifesto programmatico del revisionismo italiano. Scrive ancora De Luna: “Fu così De Felice a indicare la rotta con cui il revisionismo si collocò nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, confrontandosi con quella fase politica all’insegna, e nell’imprescindibile, esigenza di fondare un nuovo ordine che trovasse la sua legittimazione storica nella lettura revisionata del passato più recente, una lettura che puntasse quindi esplicitamente alla delegittimazione degli uomini, dei partiti e dei paradigmi identitari della Prima Repubblica”.
Il revisionismo per indebolire il significato della Lotta di Liberazione e della Resistenza e per annacquare il valore e l’importanza della Costituzione. Perché come anche amava ripetere il Presidente Ciampi, “la Resistenza vive nella Costituzione” e continuava:”essa infatti è stata la grande conquista della nostra lotta e non vi è dubbio che si è nel giusto quando si afferma che la Costituzione ha le sue basi nella Resistenza”.
Un protagonista della lotta partigiana, Paolo Emilio Taviani, era categorico nell’affermare che:”dalla Resistenza è nata la Repubblica, e la libertà del 1945 non ci fu portata in dono, ma la conquistammo, certo non da soli, ma anche noi partecipammo alla sua conquista: vi partecipammo con la sofferenza, il sacrificio, l’olocausto. Non la ricevemmo in dono: questo fu il frutto più prezioso del secondo risorgimento nazionale”.
Un testo, quello della nostra Costituzione, ancora oggi vitale, perché vivo e vitale è il suo impianto di fondo, frutto di uno sforzo comune per trovare valori e regole che potessero essere condivise da tutti, malgrado le grandi differenze che pure separavano le varie anime della Costituente.
In effetti quell’epico accordo politico nazionale che uscì dalla Costituente sarebbe stato impossibile ed impensabile, se alla base non vi fosse stata una fase politica che maturava nel periodo della Lotta di Liberazione; tutti insieme prendendo coscienza dei compiti che si andavano profilando tanto che alla lotta armata si coniugava un concetto sempre più sostanziale di democrazia; i comitati di Liberazione nazionale ne raccolsero l’eredità e la trasferirono nel popolo italiano.
Una Costituzione che ha visto la convergenza, su problematiche di fondo, tra forze politiche ideologicamente tanto diverse e con profondi divari nell’interpretazione dei modi e degli strumenti per realizzare una democrazia moderna a servizio del bene comune. Ricordava, Leopoldo Elia Presidente Emerito della Corte Costituzionale, che:”non ci sono stati baratti, né scambi, neppure quando è venuto in discussione l’articolo 7 sul riconoscimento dei Patti Lateranensi e sui rapporti tra Stato e Chiesa cattolica: tutto trovava la sua convergenza in una sorta di umanesimo che si riferiva alla dignità della persona, ai diritti inviolabili dell’uomo, ad una democrazia effettiva e non formale, con “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“ (come cita l’articolo 2).
La Costituzione quale traguardo della Resistenza e quindi l’attualità di una ricorrenza come quella odierna.
Ecco, a distanza di 65 anni l’analisi storica fatica, come abbiamo visto, a liberarsi da ideologie e da polemiche in sede politica al punto da indurre non pochi, specialmente tra chi respira oggi la libertà come elemento naturale, come bene acquisito, a chiedersi:”a cosa è servita la Resistenza?”.
La conseguenza di queste idee largamente diffuse nell’opinione pubblica è stata quella, ha scritto Pietro Scoppola :”di tagliare per così dire le radici stesse della Repubblica e della Costituzione, con l’evidente e spesso esplicito intento, ad effetto politico, di dare fondamento ad una radicale discontinuità. E’ evidente che se è fondata l’immagine di un Paese immerso nella zona grigia, se la Resistenza è un fatto sostanzialmente marginale, allora l’8 settembre 1943 e non più il 25 aprile 1945 diventa l’elemento centrale di tutta la vicenda; la Costituzione non ha più un riferimento forte nella Resistenza. Così tutto l’edificio della Repubblica resta privo di fondamenta e la Costituzione perciò è destinata ad essere archiviata con il superamento di quel quadro storico nel quale è nata e si è affermata”.
Cari cittadini di Monticelli, la difesa della Costituzione è l’impegno che in questo 25 aprile dobbiamo assumerci.
E lo dobbiamo a noi, ai nostri figli ma anche a chi ci ha permesso di essere qui oggi, liberi e felici, perché per noi ha sacrificato la vita.
E oltre alle gesta delle medaglie d’argento del Valoroso e di Antonio Carini figli prediletti di queste terre, voglio qui ricordare quelle di un politico che la passione e la fede che nutriva per una nuova Italia hanno portato a donare la giovane vita in un campo di sterminio.
Francesco Daveri, avvocato, piacentino capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza e figura importante del CLN nazionale di cui fu, per un periodo, Ispettore militare per il Nord Emilia , n. 126.054 del più terribile dei campi secondari di Mauthausen nell'Alta Austria, quello di Gusen II; Daveri resistette un mese in questo inferno: aveva perduto la vista, non aveva più forze: morì il 13 aprile 1945 all’età di 42 anni lasciando la moglie e quattro figli; dodici giorni prima della liberazione distrutto dalla fame, dalle percosse, dalla malattia.
Cari cittadini di Monticelli,
ho sentito il dovere di dirvi che purtroppo questa epopea non è ancora oggi accettata ed incondizionatamente partecipata e che siamo qui anche oggi per riaffermare quei principi indissolubili della libertà, della democrazia, della giustizia così come mirabilmente disegnati nella nostra Costituzione Repubblicana perché ve ne è il bisogno e la necessità.
E riaffermare oggi quei principi vuol dire:
difendere la libera partecipazione di ogni cittadino alla vita politica anche attraverso partiti che rifuggano da forme plebiscitarie e populiste di antica memoria e, nei quali, la costruzione degli organismi sia governato da chiare regole democratiche e non dalla volontà e dai desideri del capo;
vuol dire difendere l’istruzione quale elemento determinante nella
crescita della persona e nel suo completo dispiegarsi anche al
servizio della comunità;
vuol dire difendere la libertà di stampa e di critica, a qualunque costo, e vuol dire difendere il principio della pluralità delle libere opinioni soprattutto nelle televisioni che oggi rappresentano, più della carta stampata, il mezzo di pressione verso l’opinione pubblica più forte ed ascoltato;
vuol dire opporsi a tutti quei meccanismi elettorali che di fatto esautorano i cittadini dalla scelta diretta dei propri rappresentanti negli organi istituzionali;
vuol dire difendere il lavoro e l’occupazione quale elemento portante del nostro sistema sociale e difendere il diritto ad avere notizie vere sul reale stato del nostro Paese in questo momento di crisi economica;
vuol dire difendere il principio di sussidiarietà e di decentramento
istituzionale nel Paese oggi fortemente messi in discussione dal
continuo impoverimento delle risorse trasferite agli Enti Locali;
vuol dire difendere per ogni genere di scelta il concetto di giustizia
sociale che presuppone l’applicazione di regole uguali in circostanze
uguali e per situazioni analoghe;
vuol dire combattere una cultura, di destra, che nelle difficoltà reali di un sistema troppo piegato alla burocrazia e al pubblico, si sta facendo pericolosamente strada;
vuol dire, come scriveva Felice Fortunato Ziliani, “Resistere alla menzogna, resistere al tornaconto e all’egoismo per arricchire il dono più grande che abbiamo avuto nascendo: la libertà”.
Siamo qui dunque anche oggi, 25 Aprile 2010, proprio per riaffermare, come è scritto nella nostra Carta Costituzionale con i caratteri indelebili del sangue dei Martiri della Libertà, che non vi è giustizia senza Libertà e non vi è Libertà senza Democrazia.
Come anche ci ha dimostrato l’evolversi della terribile crisi economica mondiale, non vi è alternativa reale alla democrazia, non esiste la possibilità che un capitalismo senza regole, un sistema governato da pochi, possa tranquillamente portare, nel medio-lungo periodo, risultati positivi.
Ed allora viviamo la ricorrenza di questa data come un momento in cui riscoprire, anche personalmente ognuno di noi, il senso più profondo dell’appartenenza a questa nostra Patria, a questa nostra Nazione così mirabilmente disegnata e ricostruita partendo dalla Costituzione Repubblicana.
E Vi invito a viverla insieme a me con le parole e lo spirito con cui Felice Fortunato Ziliani, un altro dei figli illustri di questa terra generosa, ha concluso il Suo intervento all’ultimo convegno da Lui stesso organizzato l’8 ottobre 2005, in occasione del 60° Anniversario della Liberazione, in memoria dei sacerdoti diocesani Martiri della Libertà.
Conclusione che preludeva la lettura, come Sua abitudine in tutte le occasioni pubbliche, della Preghiera del Ribelle scritta dalla Medaglia d’oro Teresio Olivelli (di cui è in corso il processo di beatificazione), frasi che riassumono il Suo stile di vita e la Sua esistenza (e che ci ricordano l’importanza ed il significato profondo della responsabilità personale di ognuno di noi):
I Sacerdoti che stiamo onorando ci ricordano che ciascun uomo ha le sue responsabilità e ciascuno ha un compito cui attendere.
Ci ricordano ancora che ciascuno di noi ha un dovere rispetto alla società e ciascuno ne deve rispondere perché nessun’altro farà mai quello che solo noi possiamo fare.
Ci ricordano che non ci sarà mai vera pace fino a quando l’uomo non avrà trovato la pace in se stesso.
Ci ricordano, col sacrificio del loro sangue, che non c’è cosa più grande di quella di saper dare la propria vita per gli altri.
Queste povere cose ma solo esse, potranno finalmente scacciare le nubi che ci sovrastano. Teresio Olivelli che è stato il compagno di viaggio della nostra ribellione armata e di quella che ci siamo sforzati di coltivare durante la nostra vita, ci insegna a pregare così, certi che i nostri Sacerdoti dal cielo si uniranno alla nostra preghiera.
E con queste belle frasi che ricordano ad ognuno di noi l’importanza ed il significato profondo della responsabilità personale, permettetemi, di mandare un ultimo saluto al Griso che insieme a mio padre Giovanni, partigiano combattente e ferito anch’egli, mi inculcò l’amore per la nostra patria.
Anche a nome loro viva la Resistenza, viva l’Italia, viva la Patria.
Nessun commento:
Posta un commento