lunedì 1 febbraio 2010

Giulio Tremonti. Istruzioni per il disuso

Il libro del “Collettivo noiseFromAmerica” (Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Andrea Moro, Giulio Zanella) è una lettura imperdibile
di Alberto Mingardi
da Il Riformista
31 gennaio 2010

Le idee degli economisti e dei filosofi politici, giuste o sbagliate, sono più potenti di quanto si creda. Gli uomini della pratica, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto”.

Questa arcinota citazione di John Maynard Keynes ha trovato, in questo desolato dopo(?) crisi, una schiacciante conferma. E’ più o meno dallo sventato fallimento di Bear Sterns che vetero e neo keynesiani hanno rialzato la cresta, ravvisando nel mercato presuntamente lasciato a se stesso la fonte d’ogni squilibrio. Così Keynes contraddice l’altra sua più famosa citazione, e si dimostra vivissimo, nel lungo periodo.

La pubblica opinione, del resto, si lascia imboccare. Le idee di mercato sono contro-intuitive. Per capirle davvero, bisogna fare una sorta di dichiarazione d’impotenza davanti al reale, abbandonando un modo di ragionare che ci è più congeniale. Quello per cui a dato effetto corrisponde sempre una e una sola causa, e a ogni causa uno ed un solo colpevole - chiaramente identificabile. La complessità ci piace come parola da scrivere ma sfugge alle analisi giocoforza semplificate dei funamboli dei media. Ai quali sta molto meglio indicare in una casta di straricchi signori una banda di predoni, che riflettere su incentivi inceppatisi, problemi di governance, regolamentazioni controproducenti.

La leggenda nera dell’ultimo anno si alimenta di miti. Gli Stati Uniti sarebbero stati, fino al provvidenziale avvento di Obama, un Paese “deregolamentato”, in cui il peso del governo era trascurabile. Con Reagan e Thatcher, forze politiche ideologicamente votate alla riduzione dell’intervento pubblico avrebbero imposto anche al resto del mondo una sterzata liberista. La regolamentazione del settore finanziario sarebbe stata evanescente, per tutti gli anni Novanta e Duemila. Eccetera.

C’è un fondo di verità in queste affermazioni? Può darsi, ma è molto raro che chi se le mette in bocca poi produca elementi di fatto che vanno oltre un’annusata alla retorica politica degli ultimi vent’anni. I programmi federali negli Stati Uniti erano, quando viene mandato a casa il presunto arciliberista George W. Bush, più o meno di quanti fossero quando Reagan prese il potere? Di più. Oppure: il personale delle autorità regolamentari per la supervisione del settore finanziario è cresciuto o diminuito nel decennio d’oro degli ultraliberali? Cresciuto.

Se tutti quelli che scrivono che la crisi è frutto del “liberismo” fossero tenuti a spiegare perché, senza cavarsela ricordando l’abolizione della Glass Steagall come se fosse il big bang, i giornali da un anno uscirebbero in foliazione di molto ridotta.
Eppure, un’opinione pubblica informata non dovrebbe pretendere un minimo di sobrietà e precisione nelle analisi, specie quando sono strumentali ad accendere una pira di legna per bruciarci qualcuno?

Anche da questo punto di vista, “Giulio Tremonti. Istruzioni per il disuso” (librotremonti.noisefromamerika.org) del “Collettivo noiseFromAmerica” (Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Andrea Moro, Giulio Zanella) è una lettura imperdibile.

Questi economisti hanno deciso di prendere sul serio le accuse di “stregoneria” rivolte dal Ministro dell’Economia alla categoria nel suo complesso, immaginandosi nei panni di Harry Potter & co. in lotta contro Voltremont, “il cugino politico di Lord Voldemort” (che per i quattro che non lo sapessero, è il cattivo di Harry Potter). Con poco senso politico ma molta passione politica, ovvero senza limare gli aggettivi e invece con una sana voglia di rosicchiare tutta la fuffa del dibattito per tornare all’essenziale e al fattualmente vero, Bisin, Boldrin, Brusco, Moro e Zanella prendono molto sul serio quel che Tremonti scrive e dice e lo passano ai raggi x. La loro lettura è spietata, si può essere più o meno d’accordo, ma una cosa la si deve riconoscere: hanno fatto quello che avverrebbe in ogni Paese normale. In un Paese normale, se un Ministro del Tesoro (o un primo ministro...) dice qualcosa, lo si prende sul serio, lo si critica, se ne parla, ma si sta alla lettera delle sue dichiarazioni e su quelle si esprime un giudizio. In Italia no, perché è talmente evidente a tutti che il Silvio Berlusconi della campagna elettorale non è il Silvio Berlusconi di governo che non vale nemmeno la pena di perderci tempo. Noi ci dividiamo in fazioni legate a questo o a quell’ “uomo della pratica”, cinicamente convinti che sta lì la partita da giocare. Le parole sono scritte sull’acqua, le appartenenze, i legami di fedeltà, le amicizie, durano. Però quando le cose si guardano da un po’ più in alto o da un po’ più lontano, magari facendo rumore dall’America, si capisce come non sia proprio così. Le catene invisibili di Keynes esistono e reggono, e il modo in cui si ridefiniscono i confini della discussione pubblica, influisce, eccome, sul processo decisionale. La retorica della crisi causata dal libero mercato non serve solo a vendere libri. I pragmatici per partito preso, per esempio nel mondo delle imprese, che smussano gli angoli nella certezza che qualche accordo con la politica si può sempre fare, finiscono vittima della loro furbizia. Perché le opere degli scribacchini defunti e no hanno più conseguenze di quanto non si creda.

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