di Piero Ostellino
Corriere della Sera
29 dicembre 2009
Marcello Pera mette il dito sulla piaga delle riforme «condivise» («Rivoluzione liberale per le riforme - L'Italia non finirà nella bozza Violante», Corriere di ieri). Parliamo della cultura politica sottesa alla nostra Costituzione, quando marxisti e cattolici sociali credevano che collettivismo e dirigismo avrebbero salvato il mondo dalle ingiustizie e gli azionisti si illudevano di conciliare comunismo e liberalismo.
Ancora nel 1956, Norberto Bobbio — un grande liberale e un convinto azionista— faceva l'elogio della pianificazione sovietica nel libro («Politica e Cultura») sul quale si sarebbero formate generazioni di intellettuali. Come siano andate, poi, le cose nel mondo, si è visto; e, ciò nonostante, come continuino ad andare in Italia è quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Che piaccia o no, la discriminante fra riforme «modernizzatrici» e riforme «condivise» rimanda, dunque, a un malinteso «spirito della Costituzione».
Non a caso, l'ex presidente del Senato mette a confronto le due riforme, quella «a maggioranza» (che egli auspica liberale) e quella «condivisa» (che riproporrebbe l'antico compromesso).
Il problema non è, perciò, di chiedersi se la sinistra di Pier Luigi Bersani sia ancora comunista— il che sarebbe un nonsenso e porterebbe a respingere ogni ipotesi di intesa— bensì se sia pronta a fare riforme «condivisibili» sul terreno già percorso dalle socialdemocrazie europee. Il ripudio della subordinazione dell’individuo alla collettività — un'astrazione ideologica condannata da Max Weber e al riparo della quale la politica rapina risorse agli individui in carne e ossa — e l'accettazione di un minimo di cultura liberale che faccia cadere definitivamente, anche da noi, il Muro del ritardo culturale e politico.
Liberalismo non vuol dire mercato senza regole, indifferenza all'interesse generale. Nelle democrazie socialiste dell'Europa del Nord— socialmente più avanzate della nostra «fondata sul lavoro» — lo Stato sociale non è la versione moderna dello Stato etico, il «padre-padrone», bensì un «servizio» reso a uomini, liberi e responsabili, quale corrispettivo delle tasse che pagano.
Riforme «condivise» dovrebbe voler dire essere d'accordo sui fini — i principi generali— nella convinzione che, sui mezzi (le politiche dei governi), la mediazione e il compromesso siano possibili e accettabili. Chiamarle «inciucio» la dice, invece, lunga sulla cultura politica degli italiani che sugli inciuci ci campano.
Perciò, dopo quindici anni che ne parla, è certo che il centrodestra voglia fare una «rivoluzione» che accresca davvero le libertà degli italiani? Non rafforzerà solo i poteri di decisione del governo, col rischio che, poi, un esecutivo più forte, quale ne sia il colore, faccia, per le libertà, ciò che hanno fatto tutti gli ultimi, deboli, governi, cioè poco o niente?
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