giovedì 28 gennaio 2010

Il miraggio dei soldi facili e il futuro della finanza globale

di Joseph Stiglitz
28 gennaio 2010
Il Sole 24 Ore

Con una migliore regolamentazione, saremo in grado di mettere sotto controllo i mercati finanziari in modo che tornino a svolgere le funzioni sociali di cui sono responsabili?
Questa è la sfida che si trovano ad affrontare gli Stati Uniti e il resto del mondo, e le premesse non sono buone. Il motivo è semplice: nonostante i banchieri abbiano fatto un cattivo lavoro per quanto riguarda la gestione del capitale finanziario, sono stati bravissimi nel far fruttare gli investimenti in capitale politico. Fin dal momento della crisi, infatti, hanno impiegato tutta le loro influenza politica per evitare che vengano posti dei limiti alle loro pessime abitudini.

Per lungo tempo colonne portanti della nostra economia di mercato, le banche si vantavano di aver trovato i metodi più efficaci per massimizzare gli utili gestendo nel contempo i rischi. La chiave del loro "successo" era il loro sistema retributivo, costruito per incentivare i dipendenti. Col senno di poi, naturalmente, sono state proprio queste pratiche a far crollare l'economia e a distruggere la fiducia del pubblico.

Come economista, ero da molto tempo preoccupato della struttura di incentivi delle nostre banche. Perfino uno sguardo casuale - compensi pagati in base alle performance di breve periodo e manager deresponsabilizzati rispetto alle conseguenze dei propri errori - suggeriva che questo sistema avrebbe condotto a un comportamento miope e indotto le banche caricarsi di rischi eccessivi. E così è stato. Leve finanziarie superiori a un rapporto di 30 a 1 significavano che una riduzione del 4% nel valore degli asset ne avrebbe annullato il valore netto; una riduzione minore avrebbe impedito di raggiungere gli standard minimi di adeguatezza del capitale. Pensiamo a quel che è successo: la media dei prezzi immobiliari americani è crollata di più del 30% dal picco storico del 2006.

Ma questa non è stata la parte peggiore. Dato che le retribuzioni interne salivano con l'aumentare dei corsi azionari, le banche avevano un incentivo a fornire informazioni distorte in modo da fare apparire le loro performance migliori di quanto realmente fossero. Hanno evitato di inscrivere le posizioni di rischio nei loro bilanci, al punto che quando la crisi ha colpito non sapevano quale fosse la propria posizione (e quella degli altri istituti). Inoltre il management era retribuito in base all'incremento degli utili, sia che derivassero semplicemente da un aumento del rischio, sia che avessero effettivamente ottenuto risultati migliori rispetto al resto del mercato. Mentre chiunque può fare la prima operazione, la seconda è praticamente impossibile. Non c'è da meravigliarsi che tanti maghi della finanza abbiano scelto la via più facile.

Le cose avrebbero potuto andare anche peggio se non fosse per il fatto che, nella maggior parte dei casi, il meccanismo retributivo basato sugli incentivi si è rivelato essere una finzione: le retribuzioni sono rimaste alte in presenza tanto di performance soddisfacenti quanto di risultati scadenti e diversi studi mostrano una tendenza simile anche nelle crisi precedenti (l'unica cosa che è cambiata è la denominazione del compenso, da "incentive bonus" a "retention bonus"). Se i nostri banchieri si fossero comportati più seriamente, costruendo un sistema di incentivi efficiente, le retribuzioni sarebbero state legate alle performance relative e non ai capricci del mercato azionario.

È in corso una discussione su quale fattore abbia contribuito maggiormente al collasso del sistema bancario: è stata la cattiva gestione del rischio, la cieca aderenza a modelli difettosi (che predicevano che la probabilità degli eventi del 2007-2008 fosse minore di quella di trovare vita nell'universo) o le disoneste omissioni dai bilanci?
Nessuna di queste possibilità pone i nostri banchieri in buona luce. Ma l'esistenza di prestiti sconsiderati e di pratiche ingannevoli sulle carte di credito prefigura una situazione ancora più inquietante. Ironicamente, sono stati proprio i mutui subprime, ideati per generare i compensi professionali dei finanzieri che sottraevano ai poveri i risparmi di una vita, a innescare il dissesto dell'economia.

Alla fine, il sistema finanziario ha fallito nello svolgere i propri compiti chiave: gestire il rischio, allocare il capitale e mantenere bassi i costi di transazione. Al contrario, ha creato nuovi rischi, gestito male il capitale, e generato enormi costi di transazione (negli anni precedenti alla crisi il settore ha incamerato circa il 40% dei profitti totali delle imprese). Ha determinato, inoltre, una cattiva allocazione di capitale umano, dato che molti tra i giovani di maggior talento hanno ceduto alla lusinga dei soldi facili. In alcuni casi, si è trattato di menti brillanti che, in un diverso momento, avrebbero potuto contribuire al miglioramento della società con scoperte e innovazioni più genuine.

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