mercoledì 16 dicembre 2009

Storia, statuette e ... culo

Oliviero Marchesi su PiacenzaSera
14/12/2009

Cara PiacenzaSera,

questi, a Milano, sono giorni che si prestano alle rievocazioni storiche. Il 5 gennaio 1757, a Parigi, un ex soldato francese fragile di mente di nome Robert-François Damiens graffiò un pochettino su un fianco re Luigi XV con un coltellino di otto centimetri di lama. Debitamente torturato per un mese circa, Damiens, il 28 marzo successivo, ebbe l'onore di essere protagonista (passivo) di una delle più famose e raccapriccianti esecuzioni capitali della Storia, descritta da Casanova nelle sue "Memorie" e commentata due secoli dopo dal filosofo Foucault nel più famoso saggio mai scritto sulle tecniche di repressione, "Sorvegliare e punire": un complicato ed efferato miscuglio di sventramenti, scottamenti, tagliuzzamenti e squartamenti eseguito con un'arte del supplizio destinata a perdersi per sempre, di lì a trentacinque anni, nella fredda logica industriale della ghigliottina. Perfino peggio, in una monarchia già costituzionale come quella italiana, andò al cuoco lucano Giovanni Passanante (o Passannante), confuso lettore della Bibbia e di Mazzini, che il 17 novembre 1878, a Napoli, assalì la carrozza su cui viaggiava re Umberto I: con il solito coltellino, che fu definito "buono solo a sbucciare le mele", Passanante (o Passannante) fece un graffietto al re e una ferita un po' più seria al primo ministro Benedetto Cairoli (che perse pure la poltrona per non aver saputo impedire l'attentato); l'attentatore, del resto, non doveva essere molto atletico, visto che la regina Margherita, durante l'assalto, lo mise K.O. col suo mazzo di fiori. Sottratto a stento al linciaggio - a leggere le gazzette dell'epoca sembra di sentire il ministro La Russa - l'infelice Passanante (o Passannante) , fu condannato alla peggiore prigionia che un detenuto abbia mai patito nella storia dell'Italia unita: un ergastolo all'isola d'Elba in una cella sotteranea alta un metro e quaranta, immerso nei propri escrementi perché non c'era latrina, con l'unica compagnia di diciotto chili di catene e proibizione assoluta ai secondini di rivolgere la parola al detenuto (che, dopo aver supplicato invano per anni le guardie di "dirgli qualche cosa", divenne completamente e definitivamente pazzo: le sue urla sotterranee divennero lo spavento dei pescatori).

Siccome viviamo in tempi più civili, cara PiacenzaSera, sappiamo che Massimo Tartaglia, l'uomo di 42 anni che ieri sera, durante la presentazione della versione aggiornata del PDL in Piazza Duomo, ha tirato un Duomo di Milano da bancarella in faccia al premier Berlusconi (a dirla così sembra un attentato alla Woody Allen, ma in realtà c'è poco da ridere) non rischia una sorte altrettanto belluina, nonostante Silvio I, fra i tre monarchi citati, sia quello che dall'esperienza è uscito più malconcio (naturalmente gli auguro di cuore pronta guarigione): frattura al setto nasale, fratture ai denti (e, soprattutto, quelle foto in cui, dolorante, insanguinato e frastornato, fa una specie di tenerezza perché, in un frammento di quella verità che è costantamente occultata dagli amici e dai nemici, lo vediamo per quello che è: un vecchio, poveretto).

Di Massimo Tartaglia, nonostante il febbrile rimbalzare di notizie che arriva dalla sua Cesano Boscone, non si sa ancora quasi niente che consenta di avere le idee chiare su di lui: quel poco di certo che si apprende riguarda le sue condizioni mentali, che da anni non sono buone. Sembra, da qualunque parte la si guardi, una storia molto triste. E, in seconda battuta, un'altra cosa balza agli occhi: il nostro primo ministro (che egli ci sia simpatico o no, in questa sede, non c'entra) è protetto con un'inefficienza, per non dire inettitudine, che in un Paese serio dovrebbe forse comportare le dimissioni del ministro dell'Interno Maroni (cfr. esempio di Benedetto Cairoli, qualche riga sopra) e di un bel po' di alti papaveri dei servizi segreti e delle forze dell'ordine. Non è del resto la prima volta: se Zappadu, il fotografo di Villa Certosa, avesse avuto un fucile di precisione invece di un teleobiettivo; se Patrizia D'Addario fosse stata una terrorista invece di una fantasista (OK, lì Berlusconi se la sarebbe anche cercata); se Tartaglia avesse avuto un coltello invece di un ciànfero da bancarella, ci poteva davvero scappare la tragedia.

Naturalmente, per i giornali amici (e soprattutto per "Il Giornale", suo o di suo fratello, non si capisce bene), il Regicidio diventa l'occasione non per sottolineare falle nella sicurezza (anche perché, indirettamente, questo non sarebbe molto lusinghiero per il governo da Lui presieduto), ma per dare la colpa al famoso "clima d'odio", ai "veleni", ai cittadini che osano contestare, agli inquirenti che si permettono di indagare, ai giornalisti che scrivono opinioni e soprattutto fatti non graditi. Un quotidiano che, da mesi, batte le contrade ogni giorno in una rabida caccia ai "traditori" di "Silvio" (chiamato per nome, e non solo perché è corto e nei titoli funziona), oggi spara titoli come: "La tensione sfocia nel sangue" e "Dietro la violenza c'è una regia". E' vero nche il "Corriere", che è il "Corriere", titola "Un clima avvelenato"; ma l'house organ di Silvio, tanto per svelenire il clima d'odio, (devo dire che il TG4 finora è stato più sobrio), indica i mandanti dei disturbi psichici di Tartaglia: "E' evidente che anche i mattacchioni leggono i giornali, guardano la televisione, ai abbeverano alle tesi di Repubblica, dei Santoro, dei Travaglio, dei Di Pietro". E, in un perfetto mondo alla rovescia, "Il Fatto Quotidiano" (certamente il giornale più legalitario d'Italia, bello o brutto che lo troviate) diventa, nello stesso articolo, un distintivo dell'eversione: "centinaia di ragazzotti, sventolando IL FATTO, si sono infiltrati tra la folla del Popolo della libertà urlando slogan contro il premier dittatore e mafioso. E vien da chiedersi come mai il questore e i servizi abbiano permesso tanto".

E' chiaro che la cosa - molto più del Regicidio del Treppiede patito da Silvio nel suo Secondo Governo, con l'unica conseguenza di un cerottone sul collo e di una formidabile pubblicità gratuita - avrà conseguenze.

Vi stropicciavate gli occhi, e vi sembrava di vivere della Russia dell'Amico Putin, quando leggevate che, al risuonare di fischi al premier all'Aquila, la polizia IDENTIFICAVA I CONTESTATORI? Bene, beccatevi questo lancio d'agenzia: «Bandire per legge le contestazioni dalle manifestazioni politiche. Non una rivoluzione assoluta quella proposta dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ma un'estensione dell'applicazione di una norma che in Italia esiste gia'. La Russa ha reso nota l'intenzione di chiedere al Parlamento di rendere la norma sempre valida con la previsone di "aggravante da 2 a 4 anni se c'e' violenza, minaccia o persona travisata". "Nessuno mi toglie dalla testa - ha detto La Russa - che quella persona sia stata agitata dalla contestazione. La provocazione, o peggio la contestazione violenta durante le manifestazioni politiche deve essere bandita dalle regole del gioco politico». La Russa vi sembra troppo truce? Accomodatevi con il gentile e sorridente ministro Gelmini, reso ancora più dolce dall'imminente maternità: in Piazza Duomo c'è stato chi «ha insultato e fischiato in modo incessante» e «ci vuole un disegno di legge che sanzioni in maniera decisa certi comportamenti».

Insomma, già ti guardano male se fischi a teatro, e d'ora in poi non si potrà più fischiare neanche in piazza (speriamo che, almeno, sprangarsi allo stadio resti permesso come sempre).

C'è da dire che gli scudieri di Berlusconi non potrebbero inzuppare così bene il pane se una parte della broda non fosse messa gentilmente a disposizione dalle idiozie pronunciate da una parte dell'opposizione (Di Pietro su "Berlusconi che istiga alla violenza" e Rosy Bindi - peccato, Rosy Bindi mi piaceva anche abbastanza). Ma anche un'opposizione ultimamente assai più funzionante, quella dell'"alleato" Fini (sinistra, sinistra, come sei ridotta!) , è stata ridotta al silenzio dall'Atto Sanguinoso e costretta a volare al capezzale del Re ferito. Il dissenso criminalizzato, l'opposizione ammutolita (quando, purtroppo, non parla), l'ombra della violenza retrospettivamente gettata su una manifestazione limpida e ordinata come il "No-B Day". Un Berlusconi già rinvigorito dall'inconsistente "bomba atomica" del pentito Spatuzza fa ancora una volta filotto: e il bello è che, ancora una volta, non lo fa per virtù proprie di audacia o di astuzia, ma grazie al caso, alla stupidità altrui, a un Tartaglia piovuto dal cielo. Certo, farsi spaccare la faccia (da un cesso di statuetta, per giunta) non deve essere piacevole. Ma solo Berlusconi poteva trarre da una così brutta esperienza tanti vantaggi, e senza muovere un dito.

Certo, ogni rosa ha le sue spine: tra i pochi veri problemi che Berlusconi ha in questo momento ci sono quei tali 750 milioni di euro che, per sentenza del giudice dai calzini turchese, Silvio dovrebbe pagare a De Benedetti. Son soldi. Ma nessuna banca rifiuterà di emettere per lui le necessarie fidejussioni, se quest'uomo, come garanzia, ci mette il culo che ha.

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