mercoledì 2 settembre 2009

L'Antitrust e la lingua di Alice

Google, Microsoft, Intel: in un momento di crisi economica, perché l'Antitrust colpisce le imprese innovative?
di Alberto Mingardi
da Il Sole 24 Ore, 1 settembre 2009

L'amministrazione Obama promette un enforcement delle normative antitrust ben più determinato di quanto si è visto negli anni scorsi. È opinione comune che nel mirino vi sia Google, che detiene un'impressionante quota (il 75%) del mercato della pubblicità online. Contro il motore di ricerca, per il suo servizio di news, ha aperto un'istruttoria anche l'Autorità italiana. In Europa, il commissario alla concorrenza Neelie Kroes ha chiuso il proprio mandato coi fuochi d'artificio. Prima, la maxi multa a Intel (oltre un miliardo di euro), poi la capitolazione di Microsoft, che dopo un tira e molla durato anni ha acconsentito ad includere nel proprio sistema operativo i browser dei produttori concorrenti.La storia dell'Antitrust ha visto alternarsi momenti di maggiore interventismo nelle vicende dei mercati, ad altri nei quali il baricentro sembrava spostarsi verso il benign neglect. L'una cosa e l'altra riflettevano non solo e non tanto le condizioni "oggettive" in cui versavano concorrenza e mercato, quanto i diversi fattori che creavano i presupposti della "legittimità" dell'azione dei "poliziotti della concorrenza". L'opinione dominante fra economisti e giuristi è uno di questi fattori, ma non l'unico. Negli Usa, la staffetta repubblicani-democratici si fa sentire anche in questo ambito.
Negli anni scorsi,l'approccio americano è parso venato dall'influenza della scuola di Chicago. Anche il mondo delle imprese è «grande e terribile e complicato» e si sono andati metabolizzando gli insegnamenti di quanti invitavano a comprendere la razionalità di una decisione imprenditoriale, prima di sanzionarla.In Europa, invece, è prevalsa una linea a detta di alcuni rigorosa, senz'altro più rigida, risultata in una lunga serie di decisioni (fino ai casi Microsoft e GE-Honeywell) ampiamente discusse. È questa visione che sembra però cavalcare ora le onde della storia. Per rafforzare la propria legittimità, le autorità della concorrenza non possono fare leva sull'immagine positiva dei mercati agli occhi della società, immagine fortemente indebolita dalla crisi. Debbono invece proporsi come "correttori" di ciò che non va, nell'ordine sortito dalle libere interazioni fra privati. Se le virtù della libera impresa entrano in un cono d'ombra, cresce la tentazione di puntare il faro su realtà effettivamente emblematiche dei successi del capitalismo di mercato? Che si parli di Intel, di Google o di Microsoft, queste grandi società entrano nel mirino dell'Antitrust sostanzialmente in virtù della loro dimensione: dimensione da cui scaturirebbe un "potere di mercato". Esse vengono perseguite in virtù di contratti che hanno liberamente stipulato con altri operatori economici. Il principio della libertà contrattuale, che è il sale della terra del mercato, viene in una qualche misura limitato, sostenendo che certi accordi tradiscano relazioni non propriamente volontarie. Nel caso di Microsoft, si è pervenuti ad un esito forse auspicabile, ma che risulta in un risparmio di tempo per l'utente di pochi minuti (tanto "costava", infatti, collegarsi ad Internet per scaricare un browser che non fosse Explorer), e nella determinazione da parte di una autorità pubblica delle caratteristiche che deve avere il prodotto con cui un privato cerca il consenso dei consumatori. Nel caso di Intel, si sono cercati comportamenti impropri da parte dell'operatore dominante in un mercato a due, con accuse molto forti. Solo pochi giorni fa, tuttavia, il Wall Street Journal anticipava una relazione dell'Ombudsman europeo per cui la Commissione avrebbe selezionato solo l'evidenza a favore della propria tesi, tacendo su testimonianze di imprese che avrebbero acquistato i microprocessori di Intel solo perché ritenevano più convenienti le offerte loro proposte.
In un caso e nell'altro, la Commissione si è accanita su mercati nei quali la concorrenza pare avere dispiegato appieno i benefici che ci si attende da essa. L'innovazione è stata vorticosa, i prodotti nuovi si sono moltiplicati, e persino i prezzi si sono costantemente ridotti negli anni. Che messaggio arriva, agli imprenditori con l'ambizione di innovare?La "narrazione" della crisi influisce sulla reputazione della concorrenza, e ne disegna il perimetro. Al centro della tempesta,nel mondo della finanza,il"gigantismo" d'impresa viene premiato e non sanzionato. Le banche too big to fail non solo non sono state fatte fallire: ma sono state ulteriormente consolidate, risultando inevitabilmente ancora più grandi, e quindi ancor meno soggette al rischio di fallimento. Questi operatori sono evidentemente tutelati da parte del potere politico, e che i regolatori di tutto il mondo ne siano stati "catturati" è un sospetto piuttosto diffuso.Contro il pragmatismo degli aiuti di stato last minute, negli scorsi mesi l'Antitrust ha fatto pochino. Al contrario, si può temere che molte delle sue decisioni cruciali, almeno in Europa (dalla concessione o meno di esenzioni antitrust alle alleanze di compagnie aeree ai casi Microsoft e Intel) vengano rilette in ottica colbertista: come politica industriale attraverso altri mezzi. Le autorità della concorrenza possono trarre un sostegno diffuso e non effimero, dal ricorrere di casi in cui finisce per premiare gli europei continentali, e colpire gli anglosassoni? Oppure proponendosi come punto di riferimento della vasta categoria dei "consumatori", persino in casi in cui (il passante di Mestre) non è ben chiaro se e come si ponga un problema concorrenziale?Per Hayek, lo Stato «più che combatterli, dovrebbe impegnarsi a non sostenere i monopoli». È improbabile che le rendite del monopolista sopravvivano all'incalzare di altri imprenditori.Improbabile, a meno che il monopolista non goda di una protezione pubblica. L'altalena fra imprese che devono rimanere immuni alla pressione competitiva perché "strategiche"e altre le cui pratiche eccessivamente aggressive vanno colpite non è nuova nella storia. Per confondere le carte, scriveva Alan Greenspan molti anni prima di arrivare alla guida della Fed, sovente l'Antitrust parla la lingua ambigua di Alice nel Paese delle Meraviglie. Non sono le dimensioni ad essere un problema: grandi possono essere tanto le imprese che vivono sul mercato, quanto quelle che si annidano alla penombra della politica. Fenicotteri e mostarda pizzicano entrambi, dice la Duchessa ad Alice, e la morale è che uccelli della stessa nidiata volano a stormo. Se non fosse che la mostarda non è un uccello.

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