da Corriere della Sera del 9 giugno 2009, pag. 50
di Paolo Franchi
Può darsi che, di fronte ai rovesci elettorali dei socialisti in Europa, molti dirigenti del Pd (a cominciare ovviamente da quelli che del Pse non hanno mai voluto far parte e tanto meno lo vogliono oggi) abbiano tirato un sospiro di sollievo. Pensando che il netto calo del Pd è in fondo poca cosa rispetto ai tracolli del New Labour, della Spd, del Ps francese. E magari sorridendo all`idea che, se entrasse a far parte del gruppo parlamentare socialista europeo, magari altrimenti denominato, il Pd ne sarebbe, paradosso dei paradossi, la componente nazionale più forte. Può darsi. Ma, se così fosse, farebbero bene a uscire il prima possibile da questo stato di dormiveglia politico e intellettuale. E vero, il Pd può legittimamente compiacersi di avere allontanato da sé i peggiori incubi della vigilia, e insomma di aver evitato il rischio drammatico di finire letteralmente schiantato. Ma i motivi di soddisfazione iniziano e finiscono qui. Il Pd non è, e nemmeno intende essere, né socialista né socialdemocratico, e non solo per l`opposizione, strenua quanto comprensibile, di alcune sue componenti, in primo luogo quelle di provenienza democristiana, a risolversi a un simile passo. Eppure la sua sconfitta (perché perdere in un anno sette punti in percentuale, da che mondo è mondo, è una sconfitta, spiegabilissima, certo, ma non per questo meno pesante) è ugualmente una variante nazionale del disastro della sinistra riformista europea. Un po` tutti i principali leader socialisti e socialdemocratici riconoscono che, all`origine della disfatta, c`è prima di tutto la vistosa incapacità di prospettare risposte di qualche respiro e di qualche efficacia a una crisi che minaccia in primo luogo il presente e il futuro dei lavoratori, dei ceti medi, dei giovani, e insomma di quella parte grande della società che a lungo la socialdemocrazia, dal governo e persino dall`opposizione, a lungo ha cercato, e con successo, di rappresentare e di tutelare, e che adesso, spaventati, le volgono le spalle e scelgono la destra, spesso preferendo quella razzista e xenofoba a quella moderata. Vero. Ma, se è questo il peccato, non si capisce esattamente come potrebbe mai fare, il Pd, a reputarsene indenne; di che cosa dovrebbe occuparsi, nel prossimo futuro, se non di dannarsi l`anima per mettere a fuoco idee, proposte, programmi, e insomma una cultura politica rinnovata che lo guarisca, sempre che sia possibile, da una simile, prolungata afasia; e con chi potrebbe farlo se non, in primo luogo, con quelle forze della sinistra riformatrice vecchia e nuova che in Europa soffrono del medesimo male. Non c`è dubbio: il socialismo europeo è ai suoi minimi storici. Ma forse sarebbe anche il caso di ricordare quante volte, nella sua lunga storia, è stato dato per morto; e quante volte ha trovato una via originale per risorgere. C`è poi, naturalmente, un aspetto tutto italiano della questione. Il Pd tira il fiato non solo perché, in un modo o nell`altro, l`ha scampata, ma pure perché Silvio Berlusconi, invece di trionfare, segna il passo. Bene. Ma il suo 33% delle elezioni politiche si è ridotto, in una prova in cui era impossibile fare appello al voto utile, al 26: Antonio Di Pietro ha incassato quello che si proponeva di incassare, la sinistra-sinistra, anche se né i neocomunisti né Sinistra e Libertà ce l`hanno fatta a superare il muro del 4%, ha dimostrato di esserci ancora, Marco Pannella ed Emma Bonino se ne sono andati per la loro strada, il discreto successo dell`Udc testimonia che, al centro, non si passa, i successi della Lega in Emilia, e non solo in Emilia, ci parlano di un blocco sociale, politico e anche culturale che scricchiola, o peggio. Se le cose stanno così, è davvero difficile immaginare che, vinta la battaglia per la sopravvivenza, il Pd possa pensare di espandersi fino a diventare da solo, domani o dopodomani, un partito, almeno in potenza, di maggioranza, come sognavano, e forse sognano ancora, i sacerdoti del bipartitismo che, al suo interno, fanno affidamento sul referendum: si ripropone, ineludibile e difficilissimo, quel problema delle alleanze che, dopo il triste fallimento dell`Unione, si era pensato, sulla scorta di un`indebita euforia, di poter archiviare. Tutte queste, dicono, sono questioni che affronterà il congresso. Giusto. Ma forse sarebbe il caso di cominciare a parlarne subito. Sempre che non sia già tardi.
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