martedì 3 febbraio 2009

A PROPOSITO DI LIBERALI

di Gim Cassano, 01-02-2009

Avevo ritenuto opportuno non commentare la discussione che sta animando la fase precongressuale del pli; ma l'avermi un amico mostrato un appello di adesione a quel partito redatto da un gruppo di membri e simpatizzanti siciliani del pli, ed il fatto che sulla questione dell'assalto alla segreteria da parte del cartello Diaconale/Taradash, sull'intervento dell'On. Paolo Guzzanti in soccorso(?) dell'attuale segretario De Luca, sull'endorsement del generale Tricarico in favore degli assaltatori, si sia aperta una discussione pubblica, mi spingono ad esprimere qualche opinione circa il mondo dei liberali italiani.

Non mi sembra che in quell'appello possa esser colta una visione liberale adeguata ai tempi di oggi, e neanche adeguata alla odierna situazione politica italiana: in esso non è riscontrabile una parola riguardo a quanto da qualche mese sta avvenendo nel mondo. Si tace del tutto sulla questione dell'equità, centrale in ogni moderna democrazia, ed oggi addirittura condizione che forse non è sufficiente, ma è certamente necessaria per affrontare la crisi.

E' oscuro sulla proposta politica: né con la destra, né con il centro-sinistra, per andar dove? A fare una specie di UdC senza crocifisso, ma non troppo? Si parla di unire tutti i “liberi e forti” (a parte il fatto che si poteva avere un po' più di fantasia, evitando di riferirsi a quello che è stato uno dei manifesti dell'illiberalismo italiota); già, ma per far cosa? Si ripropone, ancora una volta, una visione identitaria e chiusa in se stessa del liberalismo, il che corrisponde a vedere il liberalismo organizzato come quel cosiddetto “partito dei benpensanti”, conservatore e refrattario ad ogni rapporto con le altre forze democratiche e ad ogni innovazione sociale e politica, che Gobetti prima, e più avanti il liberale “puro e duro” (ma proprio per questo uscito dal PLI di quei tempi), Pannunzio, ebbero a denunciare.

Ci si può sbagliare, ma le premesse paiono proprio queste; e sono proprio le medesime premesse che, nella storia dell'Italia politica, hanno condannato i liberali all'impotenza ed alla marginalità: più occupati a vedere l'aggirarsi di ircocervi in ogni proposta autenticamente riformatrice che a chiedersi quale potesse essere il ruolo del liberalismo e la collocazione dei liberali in una moderna società e, di conseguenza, poco propensi a combattere battaglie liberali che avrebbero richiesto, come fu per il divorzio, e richiedono tuttora, le alleanze necessarie ed utili allo scopo.

Traspare, in sostanza, una concezione del liberalismo che, nell'antica discussione tra “la” libertà e “le” libertà, si ferma alla prima.

Circa quella che è stata definita come OPA ostile di Diaconale e Taradash, non ho elementi per dare giudizi in termini dietrologici, né credo utile od interessante darli; ma le posizioni, le dichiarazioni (e la storia) dei principali assalitori sono sufficientemente chiari ed espliciti: per loro, il pli deve stare con la destra, e soprattutto con Berlusconi. Si deve quindi invertire la rotta, da essi giudicata come dettata da motivazioni di opportunità, che ha portato l'attuale Segretario a recidere quello che sino a poco tempo fa è stato un rapporto organico con il cavaliere. In effetti, ho già avuto modo di osservare come la fuoriuscita di Stefano De Luca dalla famiglia berlusconiana sia stata affetta da un insanabile vizio, che ha minato la credibilità politica dell'operazione: quello di essere avvenuta senza alcun processo di discussione e di maturazione politica nel partito, ed essenzialmente come conseguenza di ragionamenti preelettorali, riferiti alle ultime elezioni politiche, avviati dapprima con il cavaliere, poi con l'UdC, ed entrambi non andati a buon fine.

A questa, l'attuale segreteria non ha accompagnato un ragionamento ed una discussione politica, che pure alcuni avevano sollecitato, limitandosi a cavalcare l'onda nostalgica dell'identità liberale, sollecitando tutti coloro che si sentono liberali, “di destra” o “di sinistra” che siano, ad aderire.

Per fare un esempio, basti osservare come, con tutto quel che sta succedendo nel mondo, nel programma di quel partito campeggi la richiesta “della tendenziale sostituzione delle imposte dirette con imposte indirette progressive”. Si dirà che tale programma precede l'uscita del pli dall'area berlusconiana; ma è proprio il fatto che nessuna discussione o revisione sia stata avviata al riguardo ad essere significativo. Sono proprio concezioni neoliberiste di questo genere, che precludono la strada ad ogni concetto di equità, antieinaudiane nonostante il pessimo uso che vien fatto dalla destra liberale della figura del conflittualista Einaudi (in realtà la principale figura del liberalismo italiano che si ispiri direttamente al liberalismo empirico anglosassone) ad essere alla radice del dilagare di quella che sarà ricordata come la crisi del 2008.

I cromosomi, gli umori, il riferimento sociale di quel partito, sono rimasti quelli che erano, e vi sono ben pochi dubbi che l'OPA ostile di Diaconale & C., prescindendo da ogni dietrologia, sia più coerente con la fisionomia del pli di quanto non lo sia la collocazione che la segreteria attuale propone.

Ed il fatto di aver chiamato a soccorso l'On. Guzzanti, per un po' socialista, poi forzista e corifeo della commissione Mitrokhin (“incastreremo Prodi”), poi allontanatosi dal cavaliere, dice molto su cosa potrà essere il pli, sia che il congresso venga vinto da De Luca, che da Diaconale, o che ancora, più probabilmente, si arrivi ad una mediazione. In altre parole, che il pli si affidi ad un Diaconale nelle vesti di buon pastore che riporta la pecorella smarrita all'ovile berlusconiano (e ne riceverà titoli di merito), o ne resti fuori, la deviazione della sua bussola resta sempre orientata a destra. Magari non berlusconiani, ma pur sempre orientati su quella stessa visione del liberalismo e del ruolo dei liberali nella politica italiana che ne ha precluso il collegamento, sicuramente faticoso, ma non per questo meno necessario, con le forze democratiche e di progresso. E comunque, la presenza dell'On. Guzzanti non lascia prevedere un grande apporto di cromosomi liberali in quel partito..

In conclusione, è difficile considerare rilevante la discussione in atto nel pli e dintorni: a confrontarsi non sono concezioni diverse del liberalismo, ma più semplicemente il fatto se sia più utile il collocarsi sotto l'ombrello berlusconiano, oppure in una posizione intermedia tra la destra ed il PD (cioè, volendo schematizzare, a sinistra della destra, a destra di un partito la cui natura si fatica ormai a definire, ed al fianco, probabilmente ed ancora una volta, del centro cattolico). Con quali chances sulla possibilità di combattere almeno per i diritti dell'individuo e la laicità dello Stato è facile immaginare.

Proprio la difficoltà che il PD manifesta nel definire il proprio ruolo è all'origine del disagio di quei liberali che, con Valerio Zanone, hanno scelto la strada di partecipare al processo fondativo del PD, ed anche ai quali è rivolto l'appello già citato. Ma le difficoltà ed i limiti del PD, e soprattutto l'evidente deficit di cultura e comportamenti liberali che è possibile praticarvi, non possono essere una ragione sufficiente perché chi ha rivendicato una visione empiricamente e concretamente aperta e progressiva del liberalismo, conforme alle esperienze anglosassoni, e pronta al confronto ed all'incontro con le altre culture politiche di stampo democratico e riformista, debba concludere che la risposta alla refrattarietà del PD nei confronti di esperienze, culture e modi d'essere che non appartengono agli apparati delle due chiese dominanti, possa consistere nel vedere l'esigenza di una soggettività liberale soddisfatta da un terzismo praticato da chi sino a ieri applaudiva o subiva passivamente le iniziative e le imposizioni della destra berlusconiana.

Piuttosto, l'accelerarsi della crisi di un PD in evidente stato di paralisi di scelta politica, in un momento caratterizzato dalla piena recessione produttiva ed occupazionale, dall'attacco alle forme ed alle regole della democrazia ed ai principii liberali e democratici sui quali si fonda lo Stato di Diritto, dalla previsione di introdurre una riforma federale fumosa e dai contorni indefiniti e con costi che nessuno è in grado di determinare, dal diffondersi di una cultura codina, razzista, ed illiberale, dovrebbe offrire ai liberali cosiddetti “di sinistra”, per quanto considerati irrilevanti, gli argomenti e l'occasione per rivendicare il proprio ruolo e per prender parte a ragionamenti politici atti a far maturare dalla crisi del PD rapporti nuovi tra le forze di sinistra laica, democratica, e riformista.

Che non vanno costruiti su rivendicazioni identitarie vecchie o nuove (ed ancor più improbabili), ma sull'individuazione di comuni battaglie: quella per la laicità ed i diritti, quella per una democrazia partecipata e per il suo funzionamento, e quella per rapporti sociali ed economici aperti, equi, ed atti a incentivare mobilità e dinamismo.

Gim Cassano (gim.cassano@tiscali.it), 01-02-2009

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