giovedì 10 settembre 2009

Laico, riformista, vincente

da l'Avanti! del 4 settembre 2009, pag. 4

di Antonio Matasso


Ritengo di non cedere alla tentazione dell’autocompiacimento se osservo che l’impulso riformatore, dispiegato e promosso dalla cultura laica nel nostro Paese, è stato notevole e ha consentito di vincere le grandi battaglie per il riconoscimento dei diritti civili, come quelle per il divorzio, per l’aborto e per il nuovo diritto di famiglia. Dopo la liquidazione coatta di Bettino Craxi, oggi, però la cultura laica appare sempre più marginalizzata nella "carne" dell’Italia moderna. Eppure ogni storia è storia contemporanea, come ci insegna Benedetto Croce. In questi ultimi tre anni, spesso i mezzi di informazione hanno ricordato cosa successe quando, nel 1956, centouno intellettuali comunisti, con in testa Lucio Colletti, Luciano Carfagna e Francesco Sirugo, si dissociarono dal sostegno offerto da Togliatti all’intervento sovietico a Budapest e solidarizzarono con la rivoluzione ungherese. Si trattò del dirompente gesto di rivolta culturale e politica di un gruppo di intellettuali laici contro una delle scelte che hanno bloccato l’evoluzione della sinistra italiana. Tra tante passioni e speranze, alcuni di quei protagonisti scelsero l’impegno socialista, altri ritirarono la firma e continuarono la loro militanza nel Pci, altri ancora si spostarono più a sinistra. Da questa importante temperie culturale del 1956, pregna di spirito antidogmatico, è emersa una delle figure di spicco della storia dei laici italiani, vasi di coccio stretti fra l’Italia clericale e quella comunista, per dirla con Massimo Teodori: mi riferisco a Loris Fortuna, di cui quest’anno è ricorso l’ottantacinquesimo anniversario della nascita. Una personalità non sufficientemente ricordata, se si esclude l’ammirevole dedizione di Marco Pannella. Mi sia consentito, pertanto, di rinfrescare la memoria mia e di chi avrà la pazienza di leggermi. Figlio dell’emigrazione, Fortuna nacque il 22 gennaio 1924 a Breno, in provincia di Brescia, secondo di quattro figli, da Mario, originario di Frosinone, e Gina, cremonese. Mario Fortuna, socialista massimalista, era cancelliere presso la pretura di Breno, ma fu trasferito da lì in Friuli per punizione, in seguito a dei contrasti con Roberto Farinacci, ras fascista di Cremona e futuro avvocato difensore degli assassini di Giacomo Matteotti. Il giovane Fortuna crebbe così in terra friulana. A diciannove anni Loris, insieme ad alcuni compagni del liceo classico di Udine, divenne uno dei capi del "battaglione Cacciatori", formazione partigiana di studenti collegata alla "divisione Osoppo" del Friuli. Il suo nome di battaglia da combattente antifascista fu "Boris". Il 20 aprile 1944, forse a causa del tradimento di un compagno, Boris-Loris Fortuna non riuscì ad evitare la cattura ad opera della Geheime Feldpolizei, la polizia militare nazista. Rinchiuso nelle prigioni del castello di Gorizia, subì quattro processi davanti al Tribunale della Repubblica di Salò, con l’accusa di possesso di anni: roba da delinquente comune. In quel momento Fortuna aveva vent’anni e rimediò una condanna a tre anni di lavori forzati. Durante la prigionia affermava, con una temperanza non comune per un giovane: «Attendo con rassegnata calma la partenza. Quando sarà? E dove?». La risposta giunse il 13 dicembre 1944: Fortuna venne caricato alla stazione ferroviaria di Udine su un convoglio dalla destinazione sconosciuta. Il 17 dicembre 1944 il treno arrivò alla meta e Fortuna appena sceso lesse una targa con scritto "Bemau am Chiemsee", il nome di un paesino della Baviera al confine con l’Austria. È lì che si trovava il campo dei lavori forzati, dove gli fu messo al collo il numero 37483. Liberato all’arrivo degli americani, tornò in Friuli, laureandosi in Giurisprudenza e in Lettere e filosofia nel 1949. Iniziò a militare nel Partito comunista e poco dopo divenne il legale della Camera del lavoro e della Federterra. In quegli anni non mancò di partecipare alle lotte dei braccianti della valle del Cormór, stringendo amicizia con il pittore Giuseppe Zigaina e con Pier Paolo Pasolini. È questo il periodo in cui la vicenda di Loris Fortuna incrociò con quella dei 101. Anch’egli fu colpito dalla violenta repressione dei sovietici in Ungheria: da quel momento non si ritrovò più nelle posizioni del Pci. Anzi, si convinse che la battaglia per il socialismo non poteva essere disgiunta da quella per la democrazia e, dopo lungo tormento interiore, giunse a dimettersi da tutti gli incarichi nel Pci, scrivendo ai dirigenti del partito e al sindaco di Udine. Dopo tre anni, nel 1959 prese la tessera del Partito socialista, con cui nel 1963 risultò eletto deputato per il Friuli. La prima battaglia civile che lo vide impegnato fu naturalmente quella per la legge sul divorzio: presentò un disegno di legge già il 1° ottobre 1965, ma Nenni gli suggerì di non accelerare i tempi, per evitare problemi al centro-sinistra "organico" da poco in sella. Cinque anni dopo. nel 1970, la sua proposta di legge fu unificata con le altre due presentate in seguito, rispettivamente, dal parlamentare liberale Antonio Baslini e dai rappresentanti della sinistra d’opposizione, con in testa Ugo Spagnoli (Pci) e Lelio Basso (Psiup). L’iniziativa legislativa trovò il sostegno dalla Lega per l’istituzione del divorzio, fondata da Marco Pannella e Mauro Mellini nel 1966. Approvata la legge il l ° dicembre del 1970, dopo tre anni e mezzo, il 12 maggio 1974, gli italiani si espressero a favore del divorzio nel referendum promosso dalla Democrazia cristiana, dal mondo cattolico e dal Msi per abrogare la ‘legge.’Determinante fu il confronto televisivo tra Loris Fortuna e il presidente del comitato antidivorzista, il giurista cattolico Gabrio Lombardi, che vide il primo prevalere nel consenso dell’opinione pubblica. Stesso esito ebbe anche il referendum relativo alla legge sull’aborto, anch’essa caldeggiata da Fortuna e confermata dagli elettori il 17 maggio 1980. Nominato ministro per la prima volta il 2 dicembre 1982, con delega alla Protezione civile nel governo Fanfani, successivamente Craxi lo indicò al dicastero per le Politiche comunitarie nel suo primo governo: morì dopo quattro mesi, il 5 dicembre 1985. Loris Fortuna è stato allo stesso modo un socialista e un radicale (prese la tessera del Pr nel 1974). Allorché sono stati quasi annichiliti i partiti laici, non è stata tuttavia archiviata la discussione sul socialismo democratico, né sono mancati stati interventi di peso sulla stampa quasi quotidianamente. Fortuna amava dire che una moderna politica laica non può che trarre la propria linfa dalla «grande voglia dell’uomo di essere compiutamente se stesso, contro il groviglio inestricabile di situazioni economiche schiaccianti, di leggi e di regolamenti che ne soffocano il libero sviluppo della personalità». Questa probabilmente è la cifra dell’impegno politico dei laici e dei socialisti di oggi, se davvero non vogliono ridursi a una fazione monotematica, irrimediabilmente descritta come una congerie di uomini distrutti e finiti. Fortuna è stato un laico vincente e anche per questo è il caso di ricordarlo: sarebbe paradossale consegnare i laici riformisti, vincitori della storia, al destino dei vinti.

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